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Aiutare chi Violenta e Abusa L'intervento agli abusanti


Chi compie reati sessuali è oggetto di un forte stigma sociale data la natura del reato che va a colpire prevalentemente vittime come bambini/e che, giustamente, nel comune sentire sono ritenuti oltremodo indifesi e per la forte indignazione che suscita la corruzione di un’innocenza che non può essere più risarcita.

Questo aspetto fa sì che chi abusa sessualmente e maltratta sia visto solo nella mostruosità dell’atto vergognoso che compie tanto da ritenere utile per queste persone solo l’attribuzione di una pena, il più severa possibile, e ogni altro intervento viene ritenuto inutile se non indegno.

Eppure, proprio la consapevolezza del profondo danno che le vittime di abuso sessuale subiscono, un danno mai definitivamente quantificabile sia per le sue conseguenze fisiche che sullo sviluppo della personalità, una ferita profonda del Sé che può cicatrizzarsi ma mai del tutto scomparire, rende imprescindibile pensare un intervento sui rei di abuso sessuale.

L’attenzione sulle vittime porta come conseguenza un interesse al trattamento psicologico di chi abusa senza il quale vi sono altissime percentuali che il reato venga reiterato.

È importante considerare che gli attori coinvolti in un abuso sono essenzialmente tre e cioè la vittima, l’abusante e nei casi frequentissimi di abuso intrafamiliare il genitore non abusante che a seconda dei casi è protettivo o meno.

In caso di abuso sessuale qualsiasi intervento deve tener conto della dinamica che si crea tra questi tre attori e delle specifiche individuali di ognuno, in modo da poter pensare un intervento multidimensionale che prenda in considerazione tutte le persone coinvolte, quindi anche l’abusante.

Intraprendere un percorso di cura con l’abusante permette di incrementare esponenzialmente la valenza preventiva di un reiterarsi del comportamento abusante anche una volta che sia stata scontata una pena.

Chi abusa deve sapere che si concentra sempre su quello che viene definito il secondo atto dell’abuso stesso e cioè la fase in cui l’abuso viene attuato e conclamato, fase in cui spesso la vittima è sentita come complice e ancora non ha raggiunto la fase di resistenza e rifiuto conclamato.

Esclude, invece, dal campo della consapevolezza il primo atto che comprende tutte quelle strategie che preparano l’abuso. Nell’istaurarsi di un abuso intrafamiliare sono da prendersi in considerazione quattro fattori:

  • L’esistenza nella persona che abusa di un desiderio e un pensiero sessualizzato verso un minore
  • Una immaturità psicologica che non consente una adeguata capacità di controllo del desiderio provato
  • L’esistenza di un micro controllo più o meno ampio dell’ambiente e della qualità delle relazioni da parte del genitore protettivo
  • L’eventuale possibilità nella attuale personalità e fase di vita della vittima di attuare comportamenti di resistenza e/o difesa

Come si evince è possibile attribuire i primi due aspetti, più determinanti e immanenti, all’ abusante.

Gli altri due sono soggetti a variabili molto più incostanti se non addirittura casuali. Pertanto l’esistenza dei primi due presupposti determina che per ipotizzare un contenimento del comportamento abusante è strada maestra l’intervento psicologico con l’abusante.

Va tenuto presente che la persona che abusa, al contrario di quanto afferma, non ha perpetrato l’abuso in maniera occasionale o fortuita ma passa all’ atto ritenendo di appartenere a un mondo dove l’abuso stesso ha possibilità se non addirittura dignità di esistenza.

Questo presupposto mentale si regge sull’attivazione di una serie di dinieghi che sono così articolati:

  • Il diniego dei fatti accaduti
  • Il diniego della consapevolezza
  • Il diniego della responsabilità
  • Il diniego dell’impatto sulla vittima

Chi abusa continua a negare e a minimizzare l’entità dei fatti accaduti indipendentemente da quanto essi siano stati accertati e dichiarati dalla vittima. Chi abusa continua a negare una consapevolezza delle proprie azioni abusanti e della loro natura sessuale attribuendo loro una qualità alternativa (rabbia, gelosia, possessività etc.).

Chi abusa non accetta una propria responsabilità rispetto a quanto avvenuto spostando la colpa verso l’esterno, dichiarando una compiacenza della vittima, un suo atteggiamento seduttivo o attribuendo le cause delle sua azioni a eventi esterni come stanchezza, ubriachezza o altro.

Chi abusa non mentalizza né ammette l’impatto distruttivo e invasivo del danno che ha provocato sulla vittima e sulla sua psicologia magari dichiarando di averla anche favorita ad esempio in una educazione sessuale o di vita.

Il radicamento di questo stile di personalità basato su questo tipo di negazioni rende prevedibile, laddove non vi sia alcun intervento o evento che porti a scalfire questi aspetti, una reiterazione del comportamento abusante indipendentemente da quanto possa essere stata grave la pena inflitta qualora ciò avvenga. Dati questi presupposti ha senso ipotizzare un intervento che abbia come obiettivo l’inizio di un percorso clinico che vada ad incidere su una progressiva diminuzione di queste quattro negazioni al fine di attivare una lenta ma possibile ristrutturazione emotiva, cognitiva e comportamentale che vada anche al di là del termine della pena.

Un’ultima considerazione è correlata all’osservazione clinica di quanto nel percorso psicologico di chi è vittima di abuso abbia un notevolissimo peso specifico e una valenza “curativa” potente sapere che chi ha abusato sta intraprendendo un percorso di cura e che vi sia una ammissione di quanto messo in atto.

Concludendo diventa sempre più importante iniziare a considerare nella pratica clinica occuparsi di chi abusa che a sua volta può sapere di poter ricorrere ad un aiuto specialistico per affrontare un comportamento che arreca gravissimo danno a chi lo subisce ma che segnala anche la presenza di un grave difficolta relazionale e individuale nella personalità dell’ abusante.