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Disturbi del Comportamento Alimentare (D.C.A.) e trauma


Cosa Dice La Ricerca.

Le ricerche suggeriscono che una percentuale dal 30 al 50% di persone con disturbi dell’alimentazione è stata traumatizzata nell’infanzia, e abuso sessuale e altri traumi infantili avrebbero un ruolo nel predisporre le persone a sviluppare disturbi dell’alimentazione (Putnam, 2001).

Sebbene sia spesso riportata una correlazione tra abuso sessuale infantile e disturbi alimentari, sia questi che le automutilazioni vengono correlati anche ad altre forme di maltrattamento infantile (l’abuso fisico, il maltrattamento psicologico, l’incuria, la violenza assistita).

Per la ricerca di Van Gerko, Hughes, Hamill, Waller (2005), svolta su 299 donne che soddisfacevano i criteri del DSM-IV per un disturbo della condotta alimentare, è stata utilizzata una definizione di abuso includente esperienze sessuali traumatiche, il timore di maltrattamenti di natura sessuale quando i genitori erano sotto l’effetto dell’alcol, nonché l’assistere all’abuso sessuale perpetrato su un altro membro della famiglia.

I risultati supportano l’idea che l’abuso sessuale subito nell’infanzia sia in relazione con i sintomi bulimici e con disturbi dell’immagine corporea. Le persone abusate nell’infanzia presenterebbero con maggiore frequenza condotte di eliminazione come il vomito autoindotto e l’abuso di diuretici e lassativi, mentre non risulta una correlazione tra abuso e sintomi restrittivi o compensatori di tipo non-purging, come l’esercizio fisico.

Gli autori suggeriscono inoltre che l’abuso sessuale sia un moderatore del legame tra diversi fattori causali e lo sviluppo di patologia alimentare, piuttosto che come una causa in sé.

Essi sostengono la necessità di ulteriori ricerche che approfondiscano le caratteristiche dell’abuso, come il tipo di autore e la presenza di contatto fisico e di penetrazione, in quanto questi elementi sono predittori chiave dei correlati psicopatologici, nonché sottolineano l’importanza di approfondire gli aspetti relativi alla presenza di altre forme di trauma infantile (maltrattamento psicologico, trascuratezza, bullismo) per verificare se l’abuso sessuale abbia un’influenza necessaria o sufficiente per lo sviluppo della sintomatologia e se ci sia un impatto di altre forme traumatiche sullo sviluppo dei comportamenti restrittivi.

Canale e Davì (2000) ritengono possibile sia una relazione indiretta tra abuso sessuale intrafamiliare e disturbi alimentari attraverso l’influenza mediatrice dell’attaccamento, sia una connessione diretta, dove il disturbo alimentare esprime il tentativo di riguadagnare una sensazione di controllo sul proprio corpo.

Speranza e Alberigi (2006) sottolineano come solo di recente gli studi sui disturbi del comportamento alimentare abbiano preso in considerazione la presenza di maltrattamento fisico, psicologico e trascuratezza. Gli autori riportano una serie di studi sulle correlazioni con queste altre forme di maltrattamento.

Nello studio longitudinale di Johnson, Cohen, Kasen e Brook (2002), abuso sessuale e trascuratezza fisica sono risultate associate in maniera significativa allo sviluppo di bulimia, anoressia subclinica e Binge Eating Disorder, anche dopo che è stato controllato l’effetto di altre variabili, quali caratteristiche familiari e psicosociali, temperamento infantile, psicopatologia genitoriale e sesso.

È emerso dallo studio che soggetti segnalati ai servizi sociali per situazioni di abuso sessuale e trascuratezza fisica sviluppavano un disturbo alimentare nel 27-25% dei casi rispetto al 6,6% dell’intero campione.

Secondo Kent, Walzer e Dagnan (1999) l’abuso fisico infantile sarebbe correlato, più dell’abuso sessuale, alla presenza e alla gravità della bulimia.

Dallo studio di Reto, Gendall, Martin e Mullen (1996), l’abuso fisico risulterebbe essere un potente predittore della presenza e della gravità della bulimia e di problematiche correlate alla regolazione degli impulsi. Esso sarebbe da solo sufficiente a determinare una più alta probabilità di successivo sviluppo di un disturbo alimentare. Secondo lo studio di questi autori l’abuso sessuale condurrebbe a una più alta probabilità di disturbo alimentare solo in concomitanza di un abuso fisico.

Dallo studio su 155 pazienti con disturbi dell’alimentazione, condotto da Favaro, Dalle Grave e Santonastaso (1998), sono emerse le seguenti percentuali: per le anoressiche restrittive le percentuali di abuso fisico e sessuale erano rispettivamente dell’8% e del 3%, mentre per le anoressiche con condotte di eliminazione le percentuali erano del 25% e del 10%; nelle bulimiche con condotte di eliminazione le percentuali salivano sia per l’abuso fisico che sessuale al 26%, mentre per i casi di bulimia senza condotte di eliminazione si è riscontrata una percentuale del 19% di abuso sessuale e del 25 % di abuso fisico.

Per quanto riguarda il Binge Eating Disorder (BED), esso sembrerebbe associato con ancora maggiore frequenza a storie di abuso. Dallo studio di Striegel-Moore, Dohm, Pike, Wilfley, Fairburn (2002), è risultato che nel gruppo di soggetti con BED vi era una percentuale del 43% di abuso sessuale e del 55% di abuso fisico, e nello studio di Grilo e Masheb (2002), l’80% dei soggetti con BED riportava una o più forme di maltrattamento (Speranza, Alberigi, 2006).

Dallo studio di Wonderlich et al. (2001), è emerso che la diagnosi di anoressia era più frequente nelle donne con storie di rivittimizzazione, cioè con una storia di abuso sessuale infantile e di stupro in età adulta e che nelle donne con diagnosi di bulimia clinica o subclinica l’associazione con storie di abuso sessuale si riscontrava solo se vi erano almeno tre sintomi impulsivi concomitanti – abuso di sostanze, furto, comportamenti suicidari, comportamenti autolesionistici, comportamenti sessuali a rischio (Speranza e Alberigi, 2006).

Speranza e Alberigi sottolineano inoltre che è necessario tenere presente che l’abuso sessuale è più facilmente rilevabile in campioni clinici seguiti in trattamento – dove la rivelazione avviene solo in tempi successivi – e che sottovalutare, nel corso di un trattamento, l’importanza della storia traumatica non fa che perpetuare il ciclo di abuso e negazione che spesso le persone con disturbo alimentare continuano a infliggere al loro corpo. Un trattamento psicoterapeutico può essere peraltro un’occasione unica per poter svelare in un contesto di sicurezza esperienze infantili tanto dolorose e riconoscerne in maniera più chiara la natura traumatica. Gli autori hanno svolto una ricerca presso l’Associazione per lo studio e la ricerca su anoressia, bulimia e disordini alimentari (ABA), al fine di:

a) verificare l’ipotesi che la difficoltà di ricordare e parlare di eventi come abusi e maltrattamenti subiti nell’infanzia è maggiore durante la fase di consultazione che durante la terapia;

b) indagare in che misura i pazienti con una storia clinica di abusi e maltrattamenti presentano un quadro clinico più grave, con una sintomatologia aggiuntiva al disturbo alimentare.

Nella prima fase della ricerca, tutti i pazienti che si sono rivolti all’ABA nel periodo gennaio 1999-luglio 2004 sono stati visti in consultazione ed è stata compilata una scheda anamnestica e clinica per la rilevazione sia degli eventi pregressi che della sintomatologia.

In una seconda fase, i terapeuti che seguivano da almeno 10 mesi i pazienti in terapia individuale o di gruppo hanno compilato un questionario per la rilevazione di esperienze di abuso e maltrattamento subite nel corso dell’infanzia dai loro pazienti. La ricerca ha interessato 384 pazienti con diagnosi di bulimia (79,1% dei casi, di cui il 51,1% con condotte di eliminazione e il 28% senza tali condotte) e di anoressia (20,9% dei casi, di cui il 13,2 del sottotipo restrittivo e il 7,7% con abbuffate/condotte di eliminazione).

I dati rilevati durante la prima fase di consultazione hanno evidenziato una presenza di eventi traumatici nel 13,3% dei casi (abuso sessuale 8,9% e maltrattamento nel 4,4%). Gli autori sottolineano che tale percentuale è più bassa di quella emersa in ricerche analoghe. Tuttavia, essi affermano che tale dato si è rivelato, attraverso la seconda fase, essere una sottostima dell’esistente. Infatti la percentuale è aumentata in maniera significativa nella rilevazione effettuata dai terapeuti durante il trattamento, a sostegno dei risultati di altre ricerche che hanno evidenziato cambiamenti analoghi a distanza di tempo.

Attraverso il confronto dei dati relativi ai 49 pazienti per i quali è stato compilato il questionario anche dai terapeuti che li avevano in carico da almeno 10 mesi, è emerso infatti che, mentre dai primi colloqui era risultata una percentuale di abuso sessuale infantile del 10,2% (5 casi su 49), nella seconda fase la percentuale di pregresso abuso sessuale intra ed extrafamiliare era salita al 28,6% (14 casi su 49). Si è reso inoltre evidente il fatto che nei pazienti con una storia di abusi e maltrattamenti vi è una sintomatologia pervasiva aggiuntiva a quella strettamente alimentare (98% dei casi), con una percentuale del 42% per quanto riguarda la presenza di sintomi dissociativi, psicotici o legati a dipendenza da alcol e droghe.

Da ricerche su giovani donne abusate nell’infanzia e con disturbi dell’alimentazione sono risultati presenti alcuni tratti comuni, quali elevata accondiscendenza verso i desideri degli altri a scapito dei propri bisogni, autocolpevolizzazione, insicurezza sociale, labilità affettiva con bassi livelli di flessibilità e di resistenza di fronte a eventi stressanti, alla cui base vi sarebbero la sessualizzazione traumatica, il vissuto di tradimento, l’impotenza, la perdita dell’efficacia personale e la perdita di autostima (Rorty, Yager, 1996; Finkelhor, 1984; Molinari, 1999).

A cosa serve il Disturbo del Comportamento Alimentare quando è avvenuto un trauma?

Williams e Banyard (1999) sottolineano l’importanza di indagare nelle pazienti bulimiche condizioni di comorbilità, come presenza di PTSD, amnesia psicogena, depressione maggiore, obesità e abuso di sostanze. Nei pazienti con disturbi dell’alimentazione, in particolare nel caso della bulimia nervosa, è stata rilevata elevata frequenza di sintomi dissociativi (Abraham, Beaumont, 1982; Dmitrack et al., 1990; Everill, Walzer, Mcdonald, 1995; Molinari, 1999) e alta frequenza di disturbi dell’alimentazione è stata trovata nei pazienti con disturbo dissociativo dell’identità (Goodwin, Attias, 1993; Putnam et al. 1986; Torem, 1989).

I comportamenti correlati ai disturbi dell’alimentazione avrebbero un ruolo nell’interruzione dei ricordi traumatici intrusivi e nella modulazione dell’ansia a questi associata. Essi, con i comportamenti auto mutilanti e le ripetizioni traumatiche sessuali, possono rappresentare tentativi di modulazione di affetti negativi, ma con esiti di stigmatizzazione, vergogna, impotenza e rabbia verso di sé, che creano un pericoloso circolo vizioso. Il corpo, luogo di rimessa in atto del trauma originario, viene riabusato, ma questa volta con l’illusione del controllo, e i sintomi diventano inoltre funzionali all’autopunizione e al fine di tenere lontani gli altri (Molinari, 1999; Finkhelor, 1984). Le ripetizioni traumatiche aumentano, dopo un primo momento di calma, la perdita di speranza e la sensazione di non avere controllo sulle proprie azioni.

Schwartz e Gay (1996, in Molinari, 1999) descrivono le funzioni adattive dei sintomi di eating disorders come funzioni di ristoro/nutrimento, intorpidimento, distrazione, sedazione, fonte di energia, bisogno/richiesta di aiuto, ribellione, liberazione dalla rabbia, senso di identità e autostima, mantenimento di debolezza/impotenza, controllo e potere, rimessa in atto dell’abuso, autopunizione e punizione del corpo, contenimento per la frammentazione, dissociazione da pensieri intrusivi. Essi risponderebbero anche a funzioni di pulizia e purificazione del Sé, tentativi di scomparire, creazione di un corpo piccolo/grande per protezione, fuga dall’intimità, rilascio di tensioni dovute all’ipervigilanza, prova della propria cattiveria per non accusare il perpetratore dell’abuso, cibo come sostituto dell’affetto genitoriale, strategia di coping per reprimere i ricordi dell’abuso.

Montecchi (2005) afferma che la negazione del cibo e dei bisogni alimentari diventa la metafora della negazione di ciò di cui si ha bisogno e proviene dall’esterno, dal momento che l’altro si è rivelato inaffidabile, e che il corpo rappresenta un aspetto di sé che va mortificato in quanto traditore, ma nello stesso tempo rimane la fonte di sensazioni forti anche se dolorose, come la perversa erotizzazione del digiuno, dell’iperattività fisica, dell’abbuffata e del vomito, che diventano un atteggiamento difensivo contro tutto ciò che il cibo rappresenta. “Come un corpo estraneo, l’abusante occupa gran parte dello spazio mentale del bambino, da cui è vissuto come un persecutore onnisciente che rimane incistato nella psiche e quindi non “digerito”, non “assimilato”, non “escreto”, impossibile da dimenticare. Inibita la via “digestiva”, non resta che la via del “digiuno o del vomito” (Montecchi, 2005). Questo ricorda come, in un gruppo per ragazze e donne abusate nell’infanzia, nel primo incontro prese subito il sopravvento Lidia, una donna di 30 anni gravemente bulimica, che immediatamente “gettò” nel gruppo particolari agghiaccianti dell’abuso sadico subito, affermando di voler «vomitare la storia per liberarsene» (Luberti, Moscati, Bessi, 2005). Le “tracce” del trauma a livello somatico, come l’ipereccitazione sessuale, connotano il corpo come nemico della parte di sé che ricerca attribuzione di significati e ricostruzione di speranza, e rappresentano un grosso problema nei percorsi di riparazione. Contro il corpo, vissuto come cosa estranea, su cui non si ha controllo e che tiene imprigionato il Sé, si possono mobilitare difese che agiscono paradossalmente lasciandolo morire o distruggendolo come cattivo contenitore (Kalscehd, 2001). È molto importante considerare la questione della violazione fisica del corpo umano, anche se la ferita non è sentita solo fisicamente ma soprattutto psicologicamente, perché essa comporta nella persona un dilemma del tipo: «Come posso io vivere con un corpo danneggiato e che sento pericoloso per me o addirittura morto?» (Young, 1992). Numerose sono le testimonianze di bambini e ragazze abusate che attraverso una sensazione di annichilimento fisico e psicologico riescono ad “abbandonare” il corpo, cercando di diventare parte dei muri della stanza o “volando” sul soffitto per guardare cosa sta accadendo da una posizione esterna e distaccata di spettatore (Gelinas, 1983). Altre vittime raccontano invece di come avessero imparato, durante l’abuso o di fronte a eventi stressanti, ad autoindursi una specie di anestesia in diverse parti del corpo (Van der Kolk, 1987). In questo modo esse si convincono di vivere solamente “con” un corpo, verso cui scatenare rabbia e punizioni perché sentito come disdicevole e colpevole, ma non “in” un corpo (Molinari, 1999).

Brusa e Senin (2000) parlano del disturbo alimentare come di una forma di eccitazione per la propria distruzione, quindi non una eccitazione erotizzata, bensì disprezzo e rifiuto della dimensione erotica. Quanto detto finora mette, quindi, in luce come vi è una stretta anche se no esclusiva correlazione tra D.C.A. e la presenza, ripetizione e riproposizione di un trauma nella persona. In tutti i casi è comunque di fondamentale importanza esplorare e tenere presente nell’incontro con la persona questi aspetti per evitare il rischio durante il trattamento di una nuova negazione del trauma stesso, nonché il nuovo abuso che ne consegue nella negazione stessa.